Magda Calcagno, Daniele Ronco

 

Le prime docenti dell’Università di Pisa

 

 

La storia delle prime docenti dell’Università di Pisa ha inizio soltanto negli anni Trenta del Novecento, e in maniera pressoché marginale: prima di allora mai nessuna donna a Pisa era riuscita ad ottenere una carica accademica più alta del grado di “assistente” o “aiuto”.

Il motivo di questo grave ritardo è da attribuire, a Pisa come in gran parte d’Italia[1], alla totale esclusione della donna da certi ambiti sociali e lavorativi; circostanza questa che, anche se in misura minore, perdura ancora oggi.

Dalla seconda metà dell’800 fino alla fine della seconda guerra mondiale, il diritto di famiglia viene disciplinato dal Codice Pisanelli[2], improntato sulla supremazia maschile; esso preclude alla donna ogni decisione, sia di natura giuridica, sia commerciale, sia riguardante i figli, se non con l’autorizzazione del marito o del padre[3].

Anche la Chiesa con l’enciclica papale Arcanum Divinae[4] manifesta la sua avversione all’emancipazione femminile e al divorzio ritenendoli portatori di corruzione e dichiara fondamentale la maternità e i valori familiari. Nel 1929, poi, con i Patti Lateranensi, il pensiero cattolico si intreccia all’ideologia fascista, determinando per le donne dell’epoca una sempre più pesante sottomissione alla famiglia. Esse piano piano persero ogni ruolo nella società se non come mogli e madri; di conseguenza, vennero sempre più escluse dalla sfera lavorativa, soprattutto per ciò che riguardava il lavoro intellettuale. A parte alcune note eccezioni di donne che si opposero a questo modo di pensare e riuscirono a mantenere posizioni di primo piano[5], la maggioranza venne relegata nell’ombra delle pareti domestiche.

Il campo dell’istruzione è regolato, fin dal 1859, dalla Legge Casati[6], la quale viene modificata varie volte fino alla completa riforma applicata da Giovanni Gentile nel 1923. Tra i principi fondamentali della legge Casati vi sono: 1) la gratuità e l’obbligatorietà dell’istruzione elementare (non erano però specificate le pene per i non pochi trasgressori); 2) la rivendicazione esclusiva delle scuole pubbliche della facoltà di concedere diplomi e licenze; 3) le norme precise per l’abilitazione all’insegnamento e 4) l’affermazione dell’uguaglianza dei due sessi di fronte alla necessità dell’educazione; non era però chiaro se le norme di abilitazione all’insegnamento si riferissero anche alle donne, né venne ottenuta, finché la legge Casati fu in vigore, una reale uguaglianza tra il diritto all’educazione maschile e quella femminile. Ciò era dovuto sia alle difficoltà economiche e materiali che derivavano dall’istituzione di scuole in tutto il territorio nazionale (soprattutto nelle zone rurali), sia alla volontà delle famiglie, indipendentemente dalla classe sociale: spesso si era contrari ad istruire le bambine ritenendo che il loro futuro dovesse essere quello di mogli e madri: per svolgere il ruolo assegnato loro dalla società non era necessario che sapessero più del dovuto e che fossero in grado di ragionare ed agire al di fuori del controllo familiare. Nonostante questo c’erano alcune famiglie che appoggiavano l’istruzione delle loro figlie; nelle classi sociali più umili ciò era visto come un investimento, perché lo studio avrebbe assicurato loro un lavoro; nelle classi più alte l’istruzione femminile non era che uno dei sintomi dell’agiatezza che contraddistingueva certe famiglie.

Per quanto riguarda l’istruzione superiore le ragazze provenienti da un ambiente borghese venivano in genere fatte studiare in conventi o in educandati, di cui chiaro esempio era la Scuola S. Anna di Pisa. Qui si imparavano oltre alle materie umanistiche anche i “lavori donneschi” (il ricamo, il cucito e il far la calza), i quali aprivano alle studentesse un sicuro sbocco professionale quali domestiche presso famiglie più altolocate.

Molto diffusa era anche la pratica dello studio privato. Le famiglie facoltose, solitamente, usavano pagare professori di scuole superiori o addirittura universitari per l’istruzione della loro prole. Famoso è ad esempio il carteggio della famiglia Toscanelli[7], dal quale S. Menconi[8] ha ricavato un saggio sulla educazione che Angiola Toscanelli, la madre, impartiva e faceva impartire ai figli. La donna educò le sue bambine, Elisa (1821-1870), Rosina (1824-1851) e Emilia (1827-1900), secondo le idee illuministico-rousseauiane allora diffuse. Scelse però di istruirle di persona e di pagare dei precettori privati per colmare le eventuali lacune. Ecco così che nel salotto di casa Toscanelli si trovavano abitualmente grandi uomini di cultura, tra gli altri, Giovanni Carmignani, Giovanni Rosini, Ottaviano Fabrizio Mossoti, Cesare Studiati, ecc., tutti professori universitari da cui le ragazze, insieme ai fratelli, ebbero modo di apprendere. Per questo non mancarono certo le critiche ad Angiola che, secondo alcuni, stava istruendo “troppo” le figlie, invece di abituarle al ruolo di madri di famiglia[9].

Le ragazze che all’epoca riuscivano ad ottenere un’istruzione superiore non potevano che aspirare a un lavoro sicuro e ben visto socialmente: perciò, come si è detto, molte si risolvevano a fare le domestiche. Altre, se avevano frequentato anche solo la scuola elementare, optavano spesso per la carriera di ostetrica potendo accedere direttamente al corso di diploma universitario, mentre coloro che ambivano all’insegnamento, dovevano aver frequentato la scuola normale e poi l’università.

Le prime presenze significative di studentesse universitarie nell’ateneo pisano si hanno nell’a.a. 1887-1888, in cui troviamo tre ragazze su un totale di 606 iscritti[10]. Stranamente, per l’epoca, la legge[11] permetteva alle donne di frequentare l’università: ma questa liberalità era sicuramente dovuta al fatto che non servivano barriere legislative ad impedire alle donne di frequentare l’ateneo, erano già sufficienti quelle culturali e ideologiche.

Le donne che decidevano di insegnare non avevano molte possibilità di scelta: erano infatti impiegate nelle scuole elementari o al massimo in quelle superiori, non nelle università. Naturalmente non erano ben viste dai colleghi maschi per i quali la forza lavoro femminile rappresentava una concorrenza. Le donne insegnanti, infatti, percepivano in tutto il Paese 1/3 dello stipendio degli insegnanti maschi[12], proprio perché essendo donne erano considerate inferiori; lo Stato, perciò, iniziò a farne sempre più largo uso, finché nel 1901 le maestre arrivarono ad essere 44.561 contro i 21.178 maestri. Nel 1903 la legge Nasi stabilì l’equiparazione degli stipendi tra uomini e donne a parità di compiti, ma le maestre confinate nelle sole classi femminili, continuarono a percepire uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi. Solo nel 1915 con la guerra e il conseguente richiamo alla leva degli uomini le donne iniziarono ad essere impiegate anche nelle classi maschili o miste[13].

La riforma portata a compimento da Gentile[14] cercò di selezionare la popolazione studentesca, facendo accedere alle università solo chi aveva il massimo rendimento, ma soprattutto limitò l’accesso delle donne alla presidenza di istituti superiori e all’insegnamento, reputandole intellettualmente inferiori agli uomini. Ad esse infatti, fu tolta la possibilità di partecipare ai concorsi pubblici per insegnare le materie umanistiche nelle scuole superiori. Questo proprio per la ferma convinzione di Gentile che le donne non fossero in grado di apprendere ed insegnare le materie umanistiche, ma solo materie ritenute di minor pregio come matematica, fisica e scienze naturali[15]. Di ciò si ha conferma nella lettera aperta che Gentile scrisse nel 1918 all’allora Ministro della P.I. Berenini, il quale era in procinto di attuare una riforma della scuola. Gentile cercò di consigliare il ministro sugli interventi che riteneva necessari affinché la scuola pubblica divenisse quasi una scuola di élite, che formasse meno giovani ma in modo migliore, perché essi sarebbero poi divenuti la classe dirigente e gli insegnanti del futuro. Egli consigliò di aumentare gli stipendi degli insegnanti (maschi), così da permettere loro di approfondire gli studi anziché fare il doppio lavoro nelle numerose “classi aggiunte”. Ma soprattutto è in questa lettera che Gentile dichiarò apertamente il suo pensiero sulle donne, in particolare quelle che ambivano ad una carriera scolastica scrivendo: “essa [la scuola] verrà abbandonata dagli uomini, attratti verso carriere più vantaggiose e virili; e invasa dalle donne, che ora si accalcano alle nostre università, e che, bisogna dirlo, non hanno e non avranno mai né quell’originalità animosa del pensiero, né quella ferrea vigoria spirituale, che sono le forze superiori, intellettuali e morali, dell’umanità, e devono essere i cardini della scuola formativa dello spirito superiore del paese”[16].

Il culmine della discriminazione del lavoro intellettuale femminile, comunque, fu raggiunto nel 1938[17], quando fu imposta, insieme all’esclusione di studenti e insegnanti ebrei dalle scuole italiane[18], una riduzione al 10% del personale femminile impiegato sia in ambito pubblico che privato.

Tutte queste penalizzazioni non ebbero altro esito che confinare il genere femminile all’interno delle mura domestiche, e scoraggiare le poche famiglie che avrebbero voluto istruire le loro figlie. Infatti il costo degli studi diventò una spesa inutile da sostenere visto che non assicurava più un impiego sicuro e dignitoso. È curioso notare però, che nonostante le restrizioni del governo fascista le iscrizioni da parte di ragazze alle facoltà che indirizzavano all’insegnamento non diminuirono[19].

I casi di donne che riuscirono comunque a frequentare l’università, ed eccezionalmente a diventarne docenti, nell’ateneo pisano come negli altri, furono eccezioni alla regola di un’epoca in cui il genere femminile era fortemente penalizzato, ma, nonostante ciò, avviato verso un lento progresso: la seconda guerra mondiale portò a un forte incremento dell’occupazione femminile (non intellettuale) nel momento in cui gli uomini lasciarono le loro occupazioni per raggiungere il fronte e le donne si trovarono a dover svolgere il ruolo di capifamiglia[20]. Ma è con il crollo del regime fascista che arrivarono importanti passi avanti: primo tra tutti fu nel 1945 l’approvazione della legge[21] che estendeva alle donne il diritto di voto e che il 2 giugno del 1946 aprì le urne a più di 14 milioni di elettrici[22].

In campo accademico, purtroppo, fino alla fine della guerra questo spazio fu minimo forse perché si tratta di un settore più rigido di altri nella sua ideologia classista e maschilista. Le donne perciò dovettero accontentarsi spesso di mansioni inferiori quali l’assistente, l’aiuto o la ricercatrice. Negli anni che vanno dal 1932 fino alla fine della guerra, nell’Università di Pisa troviamo soltanto le seguenti docenti:

 

Eleonora Francini

Nasce il 14 luglio 1904 a Sesto Fiorentino (FI). Nel luglio 1926 si laurea in Scienze naturali. Dal 1 dicembre 1930 al 1 novembre 1931 è Assistente incaricata presso l’Istituto botanico dell’Università di Firenze. Dal 1 gennaio 1932 al 31 dicembre 1932 è Aiuto incaricato alla R. Università di Pisa. Nel novembre 1932 consegue la libera docenza in Botanica. Dal 1936 al 1938 tiene un corso pareggiato di Complementi di botanica farmaceutica su invito della Facoltà di farmacia.

Il 29 ottobre 1939 è nominata Professore ordinario di Botanica generale alla R. Università di Bari, ove rimane per il resto della sua carriera.

È stata autrice di varie pubblicazioni su argomenti di citologia, cariologia, genetica, anatomia, ecologia, fitogeografia. Importanti le sue ricerche sulla costituzione del nucleolo e sul comportamento dei cromosomi in ibridi di orchidee; ho scritto opere sull’ecologia e la fitogeografia della vegetazione del Lago di Sibolla e sull’indigenato della Periploca græca nella selva pisana.

È morta il 14 febbraio 1984.

 

Enrica Calabresi

Enrica Calabresi nasce a Ferrara il 10 novembre 1891 da Vito e Ida Fano, ultima di quattro fratelli. Dopo aver frequentato il liceo, si iscrive nel 1909 alla Facoltà di matematica dell’Università di Ferrara. Nel 1910 si trasferisce al R. Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento a Firenze, dove viene ammessa al secondo anno della Sezione di scienze fisiche e naturali. Si laurea in Scienze naturali il 1° luglio 1914 con una tesi, successivamente pubblicata, dal titolo “Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l’attività estiva”. Presentò inoltre tre brevi tesi sperimentali presso i Gabinetti di Botanica, di Antropologia e di Zoologia degli invertebrati, riguardanti rispettivamente “Una raccolta di funghi della Toscana”, “Le variazioni della rotula nelle razze umane” e “La posizione sistematica dei merostomi”. Il 1° febbraio 1914, ancora prima di laurearsi, viene assunta come Assistente presso il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata dei vertebrati. Nel 1924 sostiene l’esame per la libera docenza in Zoologia e nel dicembre dello stesso anno le viene conferito il diploma di abilitazione.

Negli anni accademici 1936-37 e 1937-38 ottiene l’incarico per l’insegnamento di Entomologia agraria presso la Facoltà di agraria della R. Università degli studi di Pisa. Nell’anno scolastico 1937-38 insegna Scienze naturali presso il R. liceo-ginnasio “Galileo”. Tra i suoi allievi l’astronoma Margherita Hack, che ricorda di averla incontrata casualmente pochi anni dopo, in una viuzza vicino a Piazza Signoria, mentre camminava, rasente al muro di un palazzo, frettolosa e impaurita. Erano gli anni tristissimi e pesanti che seguivano la promulgazione delle leggi razziali fasciste in Italia. A seguito di queste, il 14 dicembre 1938, fu dichiarata decaduta dall’abilitazione alla libera docenza di Zoologia perché “appartenente alla razza ebraica”. Dal 1939 al 1943 insegna scienze nelle classi superiori della scuola ebraica di Firenze. Nel gennaio del 1944 Enrica Calabresi viene arrestata nella sua abitazione di via del Proconsolo e trasferita al carcere fiorentino di Santa Verdiana. Muore suicida in seguito all’ingestione di fosfuro di zinco il giorno 20 dello stesso mese. Il Comune di Pisa, dietro richiesta dell’Università, ha intitolato a Enrica Calabresi la strada in cui si trova il nuovo Archivio di ateneo.

 

Giuseppina De Guidi

Nasce a Piacenza il 22 agosto1898. Nel 1922 consegue la laurea in Scienze naturali con una tesi in Geologia. Dal 1922 al 1936 è assistente volontaria e poi incaricata presso l’Istituto di mineralogia agraria. Dal 1936 al 1944 ottiene l’insegnamento ufficiale di Geologia e mineralogia presso la Facoltà di agraria.

Fin dall’aprile 1941 ebbe la carica di fiduciaria provinciale dei Fasci femminili di Pisa.

Da una lettera al Rettore del 28 maggio 1956, in risposta ad un’altra che le comunicava la decadenza dall’incarico per non aver esercitato dal 1944, si deduce che fu cacciata da Pisa alla fine della guerra come fascista faziosa per ordine del prof. Bozzoni, allora preside dell’Istituto tecnico “A. Pacinotti”, dove ella era di ruolo. Si trasferì a Cesena, dove rimase a insegnare al Liceo artistico di Bologna.

 

Mariannina Ciccone

Nasce a Noto (SR) il 29 agosto 1892. Nel 1919 consegue la laurea in Matematica e fisica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Nel 1925 è assistente aggiunta presso l’Istituto di Fisica. Nel 1936 è abilitata Libero docente di Fisica sperimentale presso la facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali.

Durante l’occupazione tedesca impedisce l’asportazione e la distruzione di gran parte del materiale scientifico e didattico dell’Istituto di Fisica e contribuisce a limitare la distruzione dell’edificio rifiutandosi di abbandonarlo.

Nell’anno accademico 1959-1960 riceve l’incarico d’insegnamento di Spettroscopia presso la facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali in sostituzione di quello di Fisica atomica.

È stata autrice di varie pubblicazioni di spettroscopia e di fisica nucleare. È morta il 29 marzo 1965.

 

Luisa Riva Sanseverino

Nasce a La Spezia il 26 marzo 1903. Nel 1925 consegue la laurea in Giurisprudenza e nel 1926 in Scienze politiche. Dal 1930 è assistente presso l’Istituto di Diritto pubblico dell’Università di Roma. Dal 1933 al 1934 insegna Diritto corporativo all’Università di Sassari. Nel 1934 vince il concorso per la cattedra di Diritto corporativo. Dal 1937 al 1940 insegna Diritto corporativo all’Università di Modena e dal 1941 al 1944 a Pisa.

Alla fine del 1941 il Ministro della Pubblica istruzione Bottai la propose per la nomina di Rettrice dell’Accademia della GIL a Orvieto; l’incarico divenne effettivo nel 1942 e confermato dall’aprile al settembre del 1943. Durante questo periodo ella non fece alcuna lezione o conferenza ma esercitò solo la funzione di riorganizzazione del settore di studio (revisione e coordinamento dei programmi, controllo delle lezioni e degli esami, ecc.) sempre e solo per le materie di carattere teorico.

Nel 1944 rifiutò di collaborare con i nazifascisti e venne sospesa dal grado e dallo stipendio.

Durante l’anno accademico 1956-’57 ha ricevuto l’incarico d’insegnamento di Diritto industriale presso la Facoltà di economia e commercio di Pisa. Nello stesso anno ebbe anche l’incarico d’insegnamento di Legislazione del lavoro presso la Facoltà di giurisprudenza.

Nel 1966 si trasferì all’Università di Milano alla cattedra di Diritto del lavoro e Legislazione sociale.

 

Annunziata Squarcetta

Nel 1936-’37 viene nominata aiuto volontario di Clinica pediatrica.

Nel 1942 ottiene la libera docenza in Clinica pediatrica presso la facoltà di Medicina e chirurgia.

 

Beatrice Giglioli

Figlia del professor Italo Giglioli e di Costanza Stocket, nasce a Portici (NA) il 5 febbraio 1892; studia all’Università di Pisa e si laurea in Lettere nell’anno 1917 con una tesi su “Il problema della decadenza dell’Impero romano negli storici moderni”. Nell’anno 1918 viene abilitata all’insegnamento della lingua inglese. Dall’anno accademico 1925-1926 al 1959-1960 è professore incaricato del lettorato di Lingua inglese presso la Scuola Normale Superiore; dall’anno accademico 1935-1936 è nominata ordinario di Lingua e letteratura inglese nel R. Liceo ginnasio “Galilei” e presso le scuole medie “Fucini” di Pisa; dall’anno accademico 1942-1943 fino al 1948-1949 è professore incaricato di Letteratura e letteratura inglese presso l’Università di Pisa.



[1] Eccezione costituiscono i casi dell’Università di Bologna e di Pavia. Nella prima si ammettono le donne all’insegnamento già nel XII secolo; nella seconda abbiamo la prima donna laureata al mondo già alla metà del ‘600: Lucrezia Corsaro Piscopia.

[2] Il codice civile, detto Pisanelli dal nome del Ministro che lo promulgò, fu il primo dell’Italia unitaria e venne approvato con regio decreto 25 giugno 1865 n. 2358 (pubblicato in Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, Stamperia Reale, Torino, 1865, n. 2358). Il codice entrò in vigore il 1 gennaio 1866 e fu sostituito dal nuovo codice civile del 1942, ancora oggi in vigore.

[3] Nel codice Pisanelli si trovano gli art. 130, 131 e 132 che venivano letti dall’ufficiale civile durante il matrimonio. L’art. 130 in particolare recita: “Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”.

[4] Leone XIII, Arcanum Divinae, 10 febbraio 1880.

[5] Marco Innocenti delinea i ritratti di alcune di esse nel libro Le signore del fascismo, Mursia, Milano 2001.

[6] Legge n. 3725 del 13 novembre 1859.

[7] Da: http://www.dubladidattica.it/leggeCasati.doc, consultata in rete il 24/05/2006.

[8] Silvia Menconi, Femmes de cabinet et de ménage. L’educazione domestica di una nobile famiglia di Pisa nell’Ottocento, in E. Fasano, A. Galoppini, A. Peretti (a cura di), Fuori dall’ombra, studi di storia delle donne nella Provincia di Pisa, secoli XIX e XX, Plus, Pisa 2006.

[9] Ibidem.

[10] Annamaria Galoppini, Le studentesse dell’Università di Pisa (1875-1940), in E. Fasano, A. Galoppini, A. Peretti (a cura di), Fuori dall’ombra..., cit., p. 210.

[11] Il regolamento generale universitario, approvato con R. decreto del 3/10/1875, n. 2728, art.8, ultimo comma, stabiliva che “le donne possono essere inscritte nel registro degli studenti e degli uditori ove presentino i documenti richiesti nei paragrafi precedenti”.

[12] Da: http://www.provincia.venezia.it/Medea/est/frulli/marginali/scuola1/scuola2.htm, consultata in rete il 24/05/2006.

[13] Annamaria Galoppini, Le studentesse dell’Università di Pisa (1875-1940), in E. Fasano, A. Galoppini, A. Peretti (a cura di), Fuori dall’ombra..., cit., pp. 216-217.

[14] R. Decreto legge n. 3126 del 31/12/1923 e successive modifiche del 1926, 1934, 1940.

[15] Annamaria Galoppini, Le studentesse dell’Università di Pisa (1875-1940), in E. Fasano, A. Galoppini, A. Peretti (a cura di), Fuori dall’ombra..., cit., pp. 207-225.

[16] La lettera aperta di G. Gentile venne pubblicata sul Resto del Carlino il 4 maggio 1918 ed è riportata in Giovanni Gentile, La nuova scuola media, Le Lettere, Firenze, 1988.

[17] R. Decreto legge n. 1514 del 05/09/1938, Disciplina dell’assunzione di personale femminile agli impieghi pubblici e privati, G.U. n. 228.

[18] Esemplari sono i casi di Enrica Calabresi e di Tina Tomasi. La prima venne esclusa dall’insegnamento perché ebrea, la seconda accusata per lo stesso motivo, riuscì a scagionarsi facendo laboriose ricerche sulla sua genealogia.

[19] Annamaria Galoppini, Le studentesse dell’Università di Pisa (1875-1940), in E. Fasano, A. Galoppini, A. Peretti (a cura di), Fuori dall’ombra..., cit., p. 218.

[20] Da: www.romacivica.net/anpiroma/resistenza/resistenzadonna1.htm consultata in rete il 24/05/2006.

[21] Decreto legislativo luogotenenziale 20/02/1945, n. 23.

[22] Le donne votarono per il Referendum istituzionale e per le elezioni della Assemblea costituente, ma già nelle elezioni amministrative precedenti avevano votato risultando in numero discreto elette nei consigli comunali: da: http://www.educational.rai.it/mat/ri/ridovoto.asp consultata in rete il 24/05/2006.