Enrica Salvatori
Spazi mercantili e commerciali a Milano nel medioevo: la vocazione del centro
[A stampa in Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa medievale (Atti della Session C23 dell’Eleventh International Economic History Congress; Milano, 12-16 settembre 1994), a cura di A. Grohmann, Perugia 1994, pp. 243-266 – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”]

 

A Milano i luoghi dedicati al commercio e alla mercatura hanno sempre interessato, nel corso dei secoli, un limitato settore del tessuto urbano, quello del centro cittadino. Dallo spazio prospiciente la Moneta Pubblica in età altomedievale e precomunale, alla piazza delle cattedrali tra XII e XIII secolo, fino al complesso del Broletto Nuovo all’epoca del comune popolare e della signoria, gli spazi dell’economia hanno sempre trovato una collocazione topografica altamente centralizzata che ha profondamente caratterizzato l’intero tessuto urbano. Nel corso dei secoli il centro cittadino milanese ha quindi mostrato una persistente vocazione a costituire prima di tutto il ‘centro’ degli affari, del commercio, degli scambi. Lo scorrere del tempo, il mutare delle condizioni economiche locali e generali, l’ampliarsi della città nei borghi extramurali sono stati fattori urbanisticamente importanti che però non hanno mai sostanzialmente modificato questa ‘centralità’ dello spazio dedicato agli scambi. Scelta precisa e ragionata dei ceti sociali economicamente e politicamente attivi o soluzione determinata dalle circostanze? Attrazione esercitata dall’economico sul politico o, viceversa, richiamo praticato dai luoghi del potere istituzionale sulle strutture tipiche della mercatura e del commercio? In realtà il dato generale della ‘centralità’ non consente un’unica risposta poiché molti sono stati i mutamenti interni e altrettanti i fattori che li determinarono. Si sono via via trasformate le caratteristiche delle aree dedicate al commercio, si sono modificate materialmente le strutture che le esprimevano, è variato il ceto sociale che ne traeva i benefici: di tutto questo si cercherà in questa sede di fare una sintesi ragionata, che cerchi di rispondere alle questioni che sono state poste preliminarmente dal nostro coordinatore(1).

 

Tra tardoantico e alto medioevo: la Moneta

Se si guarda al periodo di passaggio dal tardoantico all’alto medioevo, tre sono, a mio giudizio, le strutture materiali di quest’epoca che più hanno influito sull’impianto urbanistico di Milano improntandolo al deciso centralismo che tuttora conserva: le mura, la cattedrale e la Moneta Pubblica. Tra le città di antica fondazione Milano è certo di quelle che hanno conservato più a lungo la cinta muraria di età romana(2). Fino all’epoca della loro distruzione ad opera di Federico Barbarossa, le poderose mura massimianee non assolsero soltanto la dovuta funzione difensiva(3), ma delimitarono altresì per lungo tempo e stabilmente uno spazio urbano alquanto ristretto e intensamente abitato. Per tutto il Medioevo la città per eccellenza fu solo quella compresa entro il confine delle antiche mura, al punto che i borghi, presenti fuori di ciascuna porta fin dalla fine del secolo XI(4), continuarono a mantenere la qualifica di burgus per oltre un secolo dopo la messa in opera della nuova e più ampia cinta comunale(5). Il circuito difensivo medievale, inoltre, si limitò ad allargare in tutte le direzioni la circonferenza della città antica e a replicarne più in grande la struttura, mantenendo stabili le arterie stradali che collegavano la città al contado e conservando persino il nome delle antiche porte(6).

All’interno di questo limitato spazio intramurario si crearono in età altomedievale due poli accentratori, distinti per genere e funzione, ma entrambi importanti per quanto riguarda l’ubicazione e la caratterizzazione dei luoghi di mercato: la Zecca, altrimenti detta Moneta Pubblica, e l’area delle cattedrali con l’annesso palazzo arcivescovile. Struttura forse già esistente nel III d. C. e funzionante in età carolingia, la Moneta Pubblica era posta presso l’antico Foro e a breve distanza dalla cattedrale di S. Tecla(7). Non particolarmente considerata dagli studi sulla Milano precomunale, essa rappresentò in realtà il principale punto di riferimento topografico per l’economia cittadina di quegli anni. I documenti che la menzionano sono certo pochi, ma sufficienti a connotare lo spazio che la circondava come il centro pulsante degli affari di cui all’epoca erano protagonisti mercanti, monetieri ed anche artigiani.

Come è noto, nella documentazione altomedievale lombarda sono attestati fin dal secolo VIII numerosi negotiatores, argenterii e monetarii, il cui raggio d’azione si estendeva a tutta l’Italia padana(8). Alcuni di questi personaggi sono menzionati fin dall’inizio come residenti a Milano, altri risultano provenire da varie zone del contado e inurbarsi nel corso dei secoli IX e X(9). In entrambi i casi la scelta del luogo di abitazione venne generalmente a ricadere nell’area della Moneta Pubblica o nelle sue immediate vicinanze. A partire da Domenico negotiator figlio di Materno delle Cinque Vie e Teoderace pure detto da quinque vias(10), attraverso la sala cum area di Heremperto monetario, che confina con l’abitazione del fabbro Gisederio, a sua volta vicino al calzolaio Madelberto, fino alla casa solariata di Pietro negocians figlio di Ariberto(11), sono numerose le attestazioni di abitazioni poste vicino alla zecca, proprietà di uomini dichiaratamente legati al commercio o, comunque, di personaggi impegnati in complesse transazioni d’affari con il monastero di S. Ambrogio o con esponenti del clero decumano(12). Le carte che li menzionano sono infatti, nella quasi totalità, mutui su pegno fondiario aperti con i maggiori enti religiosi cittadini(13).

Esemplificativo in questo senso il caso dei Rozonidi, la famiglia di quel Benedetto qui et Rozo monetarius che ha rapporti d’affari con la basilica ambrosiana fin dal 936(14). I membri di questa dinastia di monetieri(15), nel corso del secolo XI, alienarono progressivamente le ingenti proprietà suburbane tramite complesse operazioni feneratizie, per concentrare i loro interessi nell’area della Moneta Pubblica(16). Questo piccolo spazio urbano ospitò non solo le case d’abitazione e altre proprietà dei Rozonidi(17) ma divenne il luogo prescelto per la fondazione addirittura di una chiesa familiare, quella della SS. Trinità(18). Simbolo materiale dell’elevata posizione sociale raggiunta, la chiesa fu quindi costruita nel luogo prescelto dalla famiglia per il proprio radicamento urbano e per la conduzione degli affari.

La notevole attrazione esercitata dalla Moneta Pubblica su negoziatori, monetieri e artigiani, provenienti o meno dal contado e affluiti in città sotto la spinta della ripresa dei traffici e del rifiorire dell’economia, provocò una precoce gerarchizzazione degli spazi urbani, a suo tempo notata da Cinzio Violante(19). A partire dal 1000, infatti, gli immobili situati nel centro commerciale di Milano, presso la Zecca, il Compito o anche la becaria magiore(20), risultano non solo i più ambiti dal ceto medio cittadino in via di formazione, ma anche i più cari, di prezzo decisamente maggiore rispetto a proprietà analoghe più decentrate.

A partire dalla metà del secolo XI non si hanno più notizie documentarie né della Moneta, né dei negotiatores. Per quanto riguarda la prima, l’edificio che la ospitava scomparve e venne probabilmente soppiantato dalla chiesa di S. Mattia, detta appunto alla Moneta(21). Per i secondi il discorso è più complesso: ormai integrati pienamente nel nuovo ceto medio cittadino, impiegati in un insieme composito di attività economiche, dal controllo dei traffici a lunga distanza all’investimento fondiario, divenuti ormai essenzialmente cives, gli antichi monetieri e negotiatores non furono più definiti in questo modo dalla documentazione notarile e non sono quindi più rintracciabili singolarmente(22).

 

I luoghi dello scambio in età comunale

1) La piazza delle cattedrali

Se il silenzio delle fonti non consente di sapere fino a che punto l’area della Moneta rimase luogo di residenza privilegiata dei grandi mercanti e centro dei loro affari, è però probabile che essa parzialmente decadesse a favore di altri spazi cittadini che si connotarono più specificamente in funzione dello scambio. Tra X e XI secolo il mercato, la pescheria, il macello sono attestati nelle strette vicinanze delle due cattedrali e della residenza arcivescovile, in diretta relazione, quindi, con strutture importantissime dal punto di vista religioso e politico e dotate di una notevole forza centripeta(23).

Forte polo di attrazione doveva certo essere il palazzo vescovile, in quanto residenza della massima autorità cittadina in età precomunale. Non è questa la sede per elencare le prerogative esercitate di fatto, se non di diritto, dall’arcivescovo di Milano(24): basti qui citare due attestazioni, in verità piuttosto tarde, relative a interventi arcivescovili riguardanti l’argomento che interessa, ossia esercizio della mercatura. La prima risale al 1098, anno in cui l’arcivescovo Anselmo stabilì una sorta di “pace” cittadina da osservarsi otto giorni prima e otto giorni dopo la festa dei santi Protaso e Gervaso: in quella occasione era consentito a tutti di andare e venire liberamente dalla città e nessuno poteva arrogarsi il diritto di esigere la tassa della curtadia(25). Ancora più interessante dal punto di vista degli spazi economici è la seconda testimonianza che vede protagonista sempre l’arcivescovo Anselmo, quando si recò, il 15 luglio 1100, alla chiesa di S. Sepolcro(26) per celebrarvi l’anniversario della conquista di Gerusalemme. In quell’occasione non solo stabilì una tregua del tutto simile alla precedente, ma istituì addirittura presso la chiesa suddetta un annuo mercato ricco di merci, nel quale nessuno poteva pretendere di esigere la curatura, né di occupare più di uno stallo, né di vendere come proprio ciò che era comune(27).

Da queste poche testimonianze emerge con chiarezza l’enorme autorità esercitata dall’arcivescovo milanese ancora nell’età del primo comune sui tempi, modi e gli spazi relativi al commercio cittadino. Non si può quindi ascrivere al caso il fatto che, fin dal 952, il mercato pubblico dei generi alimentari e di altri prodotti di uso comune, si svolgesse abitualmente presso il palazzo dell’arcivescovo, l’attuale Piazza Fontana, e che fosse normalmente dotato di strutture stabili (stationes) e mobili (banculas) adibite al commercio(28). In un secondo tempo esso cambiò di poco l’ubicazione, collocandosi durevolmente nella piazza delle cattedrali, che si configurò fino al secolo XIII come il nuovo cuore commerciale della città(29).

Come è noto, fino alla costruzione dell’attuale Duomo, intrapresa nel 1386 da Gian Galeazzo Visconti(30), Milano era dotata di due chiese cattedrali: il piccolo edificio di S. Maria Maggiore o Iemale(31) e il più grande complesso di S. Tecla(32). Nella grande piazza che ospitava entrambi i sacri edifici(33), in sorprendente contrasto con quanto avviene per tutte le altre zone cittadine e suburbane(34), i documenti notarili di XII e XIII mostrano con dovizia di particolari il moltiplicarsi di botteghe e altre strutture per la compravendita, fino a certificare una concentrazione veramente riguardevole di attività commerciali. Prima costituiti essenzialmente da banca o stalla, poi insediati anche in edifici civili e privati (domus e hospitia), i luoghi dello scambio andarono ad affollare progressivamente lo spazio antistante S. Tecla e S. Maria Iemale fino a conferirle “la fisionomia particolare di principale centro di aggregazione economico-commerciale della città”(35). All’interno di questo spazio, forse proprio a causa della limitatezza dello stesso, le aree di vendita si specializzarono precocemente (coperto di S. Tecla, pescheria, contrada del Mangano) creando una microzonizzazione delle diverse attività commerciali che precedette di molti anni quella originata da gruppi economici organizzati, comune a molte città dell’Italia centro-settentrionale(36).

Analizzando a fondo l’organizzazione della piazza milanese, osservando tempi e modi di insediamento delle botteghe Marina Spinelli vi ha giustamente riconosciuto la traccia di una precisa strategia economica e di potere, condotta tra la fine del XII e la prima metà del Duecento dall’ente proprietario degli immobili suddetti, il clero decumano. L’ordo minor della Chiesa milanese condusse, infatti, una politica di progressivo incremento degli immobili cittadini della piazza del Duomo e di oculata gestione degli stessi e delle attività che vi si svolgevano. Si trattò di una politica che coincise con gli interessi di quel ceto sociale cittadino più direttamente coinvolto nei traffici e nella mercatura: non è certo un caso, infatti, che dietro l’ordo minor, o meglio dentro di esso, si ritrovino alcune importanti famiglie ‘popolari’ che costruirono il loro potere oltre che sull’appartenenza al clero decumano, anche sulla partecipazione alle cariche istituzionali e sull’inserimento nella Universitas Mercatorum(37). E’ ugualmente significativo che proprio in quella piazza trovino sede i consoli dei mercanti, attestati nel 1173 nella chiesa di S. Maria, nel 1177 alla pescheria e nel 1212 al broletto vecchio(38); sempre nella pescheria si trovavano le misure ufficiali a cui i mercanti dovevano conformarsi e che i rappresentanti dell’Universitas Mercatorum dovevano controllare(39).

Certo la sintesi delle attività commerciali nella piazza centrale, talvolta coincidente con quella della principale chiesa cittadina, è fenomeno piuttosto diffuso in tutta l’Italia medievale(40); si può dire però che a Milano raggiunse una intensità particolare. Area di residenza del vescovo e del clero cattedrale, sede del potere politico, luogo di riunione dell’Universitas Mercatorum, principale dimora del mercato, la piazza delle cattedrali divenne in età comunale cuore religioso, civile ed economico di Milano e diede al centro cittadino una rilevanza sociale e urbanistica di notevole entità, tale da influenzare l’organizzazione dell’intero spazio urbano. Non si dimentichi, infatti, che fino al 1228 anche il massimo organo istituzionale cittadino, il consolato, trovò sede prima presso la chiesa di S. Maria, poi nel Broletto dell’arcivescovo, detto in seguito Broletto Vecchio, sempre comunque ai bordi della piazza(41).

2) Il Broletto Nuovo

Data al 1228 la decisione podestarile di costruire una nuova sede per il comune e di dare inoltre un assetto completamente rinnovato e razionale al centro cittadino. Il Broletto Nuovo venne così progettato in ogni suo angolo, con la definizione delle strade che lo avrebbero dovuto raggiungere e delle aperture che lo avrebbero posto in diretta relazione con le principali porte e pusterle della cinta difensiva e con gli altri spazi urbani vitali per il commercio: il pasquario, o piazza S. Sepolcro, la becharia magiore, la pescheria, il coperto della chiesa di S. Tecla, il macello di Porta Vercellina(42). Si trattò, come hanno giustamente notato alcuni autori, del primo ‘piano regolatore’ di Milano, in cui si cercò di strutturare il centro della città in armonia con le esigenze dei tempi e l’organizzazione dello spazio urbano quale si era venuto determinando fino a quella data(43). In questo senso il Broletto Nuovo fu – mi permetto di aggiungere – il prodotto consapevole di un nuovo modo di sentire e di fruire la città quale era avvertito dai ceti sociali più direttamente impegnati nel mondo del commercio e della mercatura. La formazione di questo nuovo, importante, centro degli affari non avvenne solo per semplice attrazione del ‘politico’ sull’‘economico’, per naturale gravitazione delle attività legate alla mercatura nei confronti della sede del potere cittadino, ma per scelta precisa e ragionata di quelle stesse persone che erano impegnate su entrambi i fronti.

Di questa profonda coesione di interessi emergono le tracce nella stessa struttura architettonica della nuova piazza, quale si venne definendo nel corso dei secoli XIII e XIV, che non solo ospitò la sede del potere istituzionale e dei più importanti organismi amministrativi della città(44), ma che divenne contemporaneamente il luogo privilegiato per le contrattazioni, lo scambio e la compravendita. La piazza era rettangolare e aveva al centro il nuovo Broletto, dotato di portici; ai lati vi erano altri edifici pubblici, tra cui la vasta Loggia degli Osii, dalla quale venivano letti i pubblici annunci. Se ai piani superiori di questi edifici si trovavano gli ‘offici’ veri e propri e le sale di rappresentanza, tra cui notiamo l’immancabile camera dei mercanti(45), nella piazza e sotto i loggiati lo spazio era dedicato alle contrattazioni ed ospitava soprattutto i banchi dei cambiavalute e gli scranni dei notai(46). La prima attestazione di banchi di cambio e di deposito di denaro posti nella piazza del Broletto e sotto ai suoi loggiati risale fin dalla metà del Duecento(47), ma quest’attività si mantenne in loco per tutto il XIV e XV secolo, divenendo probabilmente l’esercizio maggiormente rappresentato(48). E’ questo un dato certamente importante, che consente di dare alla piazza, sede del potere istituzionale, anche la connotazione di centro delle contrattazioni e degli scambi ad alto livello.

Favorite dalla stessa morfologia architettonica della piazza, attratte dall’accentramento delle diverse funzioni amministrative comunali che vi avevano sede, le attività di compravendita di merci e di servizi trovarono dunque nell’area del Broletto lo spazio più idoneo per la loro collocazione. Qui nel corso del Duecento, e più ancora nei secoli che seguirono, l’affollamento di strutture mobili di carattere commerciale divenne presto tale da richiedere pesanti interventi della pubblica autorità. Nel 1272 il podestà Visconte Visconti arrivò a vietare l’entrata dei porci nel Broletto nuovo e ordinò che i portici del palazzo fossero spazzati e liberati di ogni impedimento per consentire a mercanti e nobili milanesi di venire, dimorare e conversare(49). Da questa data in poi i decreti e le gride che cercavano vanamente di liberare e disciplinare l’area si susseguirono numerosi(50), non ultimi i provvedimenti contenuti negli statuti del secolo XIV, che diedero una sistemazione pressoché definitiva agli uffici e ai dicasteri che vi avevano sede(51).

 

L’età Visconteo-Sforzesca

La documentazione di età comunale attesta soltanto gli spazi mercantili e commerciali del centro cittadino, ma tace inesorabilmente su tutte le altre strutture dedicate alla produzione e alla vendita che certamente costellavano le sei porte cittadine e i loro borghi(52). Per poter allargare un poco lo sguardo all’intero insediamento urbano e vedere quindi quale sia stato il rapporto tra il ‘centro’ appena tratteggiato e le zone più periferiche si deve quindi fare riferimento alle fonti di XIV e XV secolo(53). Ne emerge il quadro di una città certamente ricca di forni, osterie, drapperie, laboratori di armi, lana e fustagni: il Fiamma dice che a Milano per portas civitatis et per plateas et vias ubique venalia reperiuntur(54), e da altre fonti sappiamo che ogni porta cittadina aveva una sua spezieria(55); gli statuti indicano i luoghi dedicati alla vendita del fieno, della paglia e della legna(56) ed elencano varie norme per lo smercio dei generi alimentari; i libri mastri dei Borromeo consentono di individuare le zone urbane di più intenso fervore produttivo(57); i registri dell’Ufficio di Provvisione forniscono indicazioni soprattutto sulle attività rappresentate nel centro cittadino(58), ma non trascurano di menzionare le botteghe disseminate un po’ dovunque nel tessuto urbano. Purtroppo, al di là dell’accavallarsi delle attestazioni e delle indicazioni piuttosto generiche, manca ancora un lavoro d’insieme che riesca a definire complessivamente le caratteristiche dell’insediamento cittadino dal punto di vista delle strutture economiche(59). Per ottenerlo si dovrà probabilmente aspettare che proceda il lavoro di spoglio, studio e schedatura dell’enorme messe di dati contenuta nel fondo notarile dell’Archivio di Stato, che, per ora, è stata affrontata con approcci necessariamente parziali(60).

Sulla base degli studi finora condotti, sembra che sia possibile distinguere nel tessuto urbano due aree concentriche diversamente caratterizzate dal punto di vista socio-economico: la prima, centrale, sede di mercato, ricca di botteghe e contrassegnata dalla presenza degli uffici amministrativi oltre che delle sedi delle corporazioni; la seconda, collocata lungo la cerchia dei Navigli, maggiormente orientata verso la produzione, dotata di mulini e di laboratori artigiani che utilizzavano i corsi d’acqua per la lavorazione della merce e per il suo trasporto(61). A queste due fasce si deve poi aggiungere il suburbio vero e proprio, caratterizzato in senso eminentemente agricolo, ma dotato di numerosi piccoli centri di lavorazione tessile a dimensione familiare(62) e di aziende impegnate sia nella conduzione della proprietà fondiaria, che nella produzione dei tessuti, come quelle gestite dagli Umiliati(63).

Si tratta, è chiaro, di una distinzione generica, che non traccia confini netti sulla carta, ma che fornisce una spiegazione alla forte connotazione commerciale del centro. Nel suo studio sulla matricola della lana sottile Caterina Santoro notava come i laboratori di produzione laniera si distribuissero soprattutto “lungo la fascia esterna della città” e in particolare nelle parrocchie che estendevano la loro giurisdizione al Naviglio(64). Se però l’ubicazione dei laboratori era periferica, non si può dire altrettanto per il luogo in cui la lana veniva piazzata sul mercato cittadino, luogo che, agli inizi del ‘400, era posto nel portico del Paradiso, davanti alla chiesa di S. Tecla(65). Dagli studi sulla lavorazione dei fustagni e sui luoghi del processo produttivo condotti da Luciana Frangioni emerge un ambiente suburbano ricco di laboratori a dimensione familiare, entro cui venivano realizzate le diverse fasi di lavorazione dei tessuti. La studiosa, analizzando le numerose indicazioni contenute nei libri mastri della famiglia Borromeo, nota la mancanza, nelle diverse porte cittadine, di una specializzazione di arte e mestiere(66), che però trova eccezione nelle vie che si dipartivano dal centro città e che prendevano nome dalle attività che vi erano maggiormente attestate. Qui troviamo ad esempio, la contrada della Fabbriceria, la via degli Orefici, delle Farine, dei Vaiai, degli Speronari, degli Armorari, dei Pattari e la strata mastra, odierna via Cappellari, che era fiancheggiata da portici ospitanti le botteghe in cui si confezionavano berretti e cappucci(67).

Le ragioni di questa concentrazione e specializzazione di attività commerciali e artigianali non vanno però individuate soltanto in una ‘spontanea’ gravitazione delle strutture economiche verso l’area più rappresentativa della città. Da questo punto di vista, in età tardo comunale e signorile, giocarono un ruolo certo determinante anche altri fattori, quali i diversi decreti, ordini e gride tendenti a regolamentare l’afflusso delle merci in città, a garantire l’approvvigionamento e, più in generale, a sovrintendere il mercato(68). Due infatti le principali motivazioni che spinsero gli organismi istituzionali del Comune e, in seguito, della Signoria, a cercare di disciplinare l’entrata, l’uscita e la distribuzione delle mercanzie: da un lato l’esigenza di assicurare i necessari rifornimenti alimentari, dall’altro la volontà di raccogliere le ingenti imposte indirette legate al movimento e alla vendita dei prodotti(69). Il flusso delle merci provenienti dall’esterno delle mura aveva nelle porte Romana e Vercellina dei passaggi obbligati, dove il mercante era tenuto a pagare il Dazio(70), prima di portare i prodotti in punti di raccolta che potessero consentire il controllo sulla qualità e sul numero. Così, per quanto riguarda le derrate alimentari, la documentazione pubblica signorile indicava nel Broletto il luogo istituzionalmente dedicato al mercato del grano, nel vicino Cordusio l’area di vendita del bestiame, nel ponte presso l’antica Porta Comasina lo smercio dei foraggi; pescherie, pollerie e beccherie continuarono a risiedere nei pressi delle antiche cattedrali, tra i Broletto Nuovo e quello Vecchio(71). Nel 1413 si deliberò, ad esempio, che le farine dovessero prima essere pesate dagli ufficiali delle vettovaglie nella contrada delle farine e poi chiuse in sacchi e tornate a pesare nelle stadere fatte fare dal Vicario, dai Dodici di Provvisione e dal Giudice delle vettovaglie. Questi i confini della contrada: “verso Porta Nuova fino all’osteria de Lacerma, verso Porta Cumana fino alla farmacia di Giovannolo Sansono posta nel Cordusio, verso Porta Vercellina fino alla farmacia dei signori de Arnate, verso Porta Ticinese e Romana fino alla bottega dei drappi del fu Francesco de Lomeno e verso Porta Orientale fino alla casa di Giacomino de la Curte, all’angolo della polleria(72)”. Identici intenti fiscali furono alla base dei provvedimenti per l’ospitalità ai mercanti stranieri, primo fra tutti quello del 1340 che ordinò “quod omnes mercatores forasterii cum omnibus eorum mercantiis et omnes alie mercantie que conducetur vel vendentur seu ementur in civitate Mediolani per mercatores forasterios [...] debeant hospitari in illo hospitio quod est in contrata sancti Georgii in palatio [...] et solvere ipsis hospitibus, tenentibus ipsam hostariam, rippam ipsarum mercatantiarum more solito et sicut solvitur ad presens(73)”.

Circondato da un suburbio a duplice vocazione agricolo-manifatturiera e da una fascia di laboratori artigiani posti nei borghi e lungo i navigli, il centro di Milano acquisì quindi, nel corso dei secoli XIV e XV, una connotazione sempre più commerciale e amministrativa, favorita dagli stessi organismi istituzionali cittadini. Vi affluivano per la vendita i prodotti artigianali locali e le merci provenienti da oltralpe(74), vi si trovavano i principali uffici della città, vi avevano sede i più importanti organi direttivi dei paratici(75) oltre che la già citata Universitas Mercatorum. L’accentramento di funzioni, che si era realizzato da lungo tempo nell’area centrale della città, in questo periodo si accrebbe ulteriormente ed ebbe come diretta conseguenza una generale crescita d’importanza dell’intero settore urbano, sia dal punto di vista economico che residenziale. Se infatti gli artigiani trovavano nelle strade del centro il luogo più adatto per la vendita dei loro prodotti e quindi collocavano di preferenza le loro botteghe lungo le diverse strade che dal centro si dipartivano; se ancora i grandi mercanti frequentavano le logge della piazza per stipulare contratti d’affari e per depositare e cambiare il loro denaro nei “banchi” che nel Broletto avevano sede, anche le case nobiliari tendevano a erigersi preferibilmente nelle vicinanze del centro (76). Da un provvedimento del 1411 si ricava che tra le fasce urbane di prelievo fiscale, redatte sulla base di balconi, logge e colonne, la fascia più ricca era quella più interna, che comprendeva le abitazioni dei nobili schierate proprio attorno al Broletto; le altre si allargavano dal centro alla periferia “sancendo così ancora una volta il monocentrismo e l’unitarietà dell’abitato”(77). Ancora nel 1509 la differenza dei prezzi dei terreni situati appena fuori la cerchia dei navigli nei confronti di quelli situati appena all’interno di essa appariva notevole(78): la sempre crescente importanza economica e politica del centro aveva mantenuto ancora a quella data una gerarchizzazione degli spazi urbani attestata fin dall’XI secolo. Sono altamente significative, a questo proposito, le carte topografiche di età rinascimentale, che riescono a testimoniare con immediatezza espressiva non solo la diffusa opinione di ciò che, a quel tempo, era considerato essere la “città”, ma anche le scelte insediative delle grandi casate milanesi, comprese immancabilmente entro il circuito murario, attorno al Broletto, e collocate nei pressi dei più importanti edifici religiosi(79).

La fortissima vocazione commerciale e residenziale del centro non venne a decadere nemmeno con lo spostamento della sede del potere politico. Le nuove esigenze di rappresentanza e di difesa della Signoria viscontea, portarono infatti alla costruzione di dimore appropriate e fortificate, come i castelli di Bernabò e di Galeazzo II, che si collocarono in posizione periferica(80). Tali spostamenti non influirono in maniera sostanziale sull’ubicazione e connotazione delle strutture mercantili e commerciali milanesi, che una pratica plurisecolare e una consolidata organizzazione interna, aveva delimitato entro confini topografici ben determinati.

 

Note

(1) A. Grohmann, Introduzione, in Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa medievale, a cura di A. Grohmann, Atti della Session C23 dell’Eleventh International Economic History Congress (Milano, 12-16 settembre 1994), Perugia, Edizioni Scientifiche Italiane, 1994.

(2) Dal IV secolo d.C. fino alla seconda metà del XII Milano era difesa da una sola cerchia di mura, lunga circa 4.500m, che era stata costruita al tempo dell’Imperatore Massimiano. Nel percorso murario, cinto di fossati e ornato di torri, si aprivano almeno 6 porte: la Ticinese, la Romana, l’Orientale (o Argentea), la Cumana, la Vercellina e la Giovia. Secondo il Calderini la cerchia fu ultimata e completata nel corso del IV secolo. Al tempo dell’arcivescovo Ansperto essa fu restaurata e rinforzata. V. A. Colombo, Le mura di Milano comunale e la pretesa cerchia di Azzone Visconti, in “Archivio Storico Lombardo”, L (1923), pp. 322-334; A. Calderini, Milano archeologica, in Storia di Milano della Fondazione Treccani degli Alfieri, I, Milano, 1954, pp. 780-783; M. David, Indagini sulla rete viaria milanese in età romana, in Milano ritrovata. L’Asse di via Torino, a cura di M.L. Gatti Perer, Catalogo della mostra: Milano, 12 aprile - 8 giugno 1986, Milano, 1986, pp. 131-134 dove è presente in appendice un’utile nota bibliografica di L. Tenconi (pp. 139-141); M. Mirabella Roberti, A. Vincenti, G.M. Tabarelli, Milano città fortificata, Roma, 1983; A. Ceresa Mori, Le mura, in Milano capitale dell’Impero Romano. 286-408 d.C., Milano, Silvana, 1990, p. 97.

(3) Funzione adempiuta egregiamente almeno fino al secolo X: il vescovo di Cremona Liutprando racconta infatti che il re di Svevia Burcardo, giunto nel 930 davanti alle mura di Milano, così si esprimeva: “Se non sarò riuscito a costringere gli italiani a usare un solo sperone e a cavalcare bolse rozze non mi chiamerò più Burcardo, poiché non mi impressionano certo la robustezza di queste mura né la loro altezza da cui (i Milanesi) credono di essere protetti e con un colpo solo della mia lancia da esse ne butterò giù uccisi gli avversari”. Da Liutprandi, Liber Antapodoseos, in Quellen zur Geschichte der sächsischen Keiserzeit, a cura di A. Bauer e R. Rau, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1971, III, 14-15, pp. 366-368; trad. it. di R. Bordone, La società urbana nell’Italia comunale (sec. XI-XIV), Torino, 1984, p. 100.

(4) Le attestazioni dei borghi si fanno frequenti dall’inizio del secolo XII, ma già Landolfo Seniore alla metà del secolo XI parla dei borghi quando narra della lotta tra i cives di Lanzone da un lato e i capitanei e valvassori dall’altro: “I Capitani dal canto loro, collocati attorno alla città degli avamposti, la circondavano, sorvegliandola giorno e notte [...]. Costrussero costoro sei borghi lungo il circuito della città e per tre anni, ogni giorno dandosi battaglia, innumeri persone caddero uccise [...]” (da La cronaca milanese di Landolfo Seniore, trad. it. con note storiche di A. Visconti, Milano, Stucchi-Cerretti, 1928, p. 75).

(5) Costruita velocemente prima dell’assedio del Barbarossa e poi terminata dopo il ritorno dei Milanesi in città, la cinta difensiva comunale era costituita essenzialmente da un terrapieno con fossato; probabilmente le uniche opere in muratura erano le porte, imponenti e istoriate. Ai borghi che si formarono al di fuori di questa nuova cinta si diede l’appellativo foris o de foris, per distinguerli dai vecchi borghi compresi entro il circuito del terraggio. V. G. Soldi Rondinini, Le fortificazioni urbane medievali, in Storia illustrata di Milano a cura di F. Della Peruta, vol. I, fasc. 16, Milano, Sellino, 1992, pp. 301-316; E. Salvatori, Società e spazio urbano a Milano nel Medioevo. Porta Vercellina dall’VIII al XIII secolo, tesi di dottorato, Università degli Studi di Milano, V ciclo, pp. 140-147. Sulla nuova cinta difensiva comunale si veda anche A. von Hülsen, A’ propos de la Porta Romana de Milan: dans quelle mesure la sculpture de l’Italie du Nord reflète-t-elle certains aspect de l’histoire communale?, in “Cahiers de civilisation médiévale”, XXXV (1992), pp. 147-153.

(6) Oltre alle indicazioni alla nota precedente v. G. Barni, La lotta contro il Barbarossa, in Storia di Milano, cit., IV, Milano, 1954, pp. 94-95.

(7) A. Passerini, Il territorio insubre nell’età romana, in Storia di Milano, cit., I, p. 245; A. Calderini, La zona di piazza S. Sepolcro, Milano, 1940. Nell’879 l’arcivescovo Ansperto possedeva tra le altre cose una “casellam illam [...] intra hanc civitatem, iuxta foro publico non longe a moneta” (Codex Diplomaticus Langobardiae, a cura di G. Porro Lambertenghi, Historiae Patrae Monumenta, XIII, Augustae Taurinorum, 1873, coll. 490-495, in particolare 492b).

(8) C. Violante, La società milanese nell’età precomunale, Bari, Laterza, 1953, passim; G. Rossetti, I ceti proprietari e professionali: status sociale, funzioni e prestigio a Milano nei secoli VIII-X: l’età longobarda, in Milano e i milanesi prima del Mille (VIII-X secolo), Atti del X Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo (Milano: 26-30 settembre 1983), Spoleto, C.I.S.A.M., 1986, pp. 165-177.

(9) I monetieri, in quanto coniatori della zecca, avevano una professione esclusivamente cittadina. Più complessa e problematica la definizione della figura del negotiator o negocians, presente nella documentazione privata essenzialmente come intermediario immobiliare e prestatore. Dal testo delle “Honorantie” sappiamo che avevano una loro organizzazione di cui erano responsabili dei ministri (v. C. Brühl, C. Violante, Die “Honorantie civitatis Papie”. Transkription, Edition, Kommentar, Köln-Wien, Böhlau Verlag, 1983, p. 18, 47). Le testimonianze dell’immigrazione dei negotiatores in Milano risalgono per lo più al secolo X e non riguardano mai il singolo individuo, ma l’intero nucleo familiare, che investe nel passaggio di residenza l’intero patrimonio o una buona parte (v. Rossetti, I ceti proprietari e professionali..., cit., p. 169).

(10) G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo e alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, 2ª ed., I, Milano, 1854, pp. 59-60, anno 796. Le Cinque vie erano un incrocio di appunto cinque strade posto molto vicino alla Moneta Pubblica; il toponimo si è conservato fino ai nostri giorni e si trova all’incrocio di via Bollo, via S. Marta, via S. Maria Podone, via S. Maria Fulcorina e via Bocchetto (v. Calderini, La zona..., cit., pp 3-8).

(11) 975 ottobre 14 (Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 766, coll. 1347-1348), 975 ottobre 15 (ibidem n. 768, coll. 1350-1351); 980 settembre (ibidem, n. 800, coll. 1401-1402); 1012 gennaio, Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, I (1001-1025), a cura di G. Vittani e C. Manaresi, Milano, 1933, n. 51.

(12) Oltre ai documenti della nota precedente si vedano quelli del 992 giugno (Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 868, coll. 1527-1538); 993 novembre 30, ibidem, n. 880); 1023 settembre 19, Gli atti privati..., cit., n. 128); 1035 luglio 29, Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, II (1026-1050), a cura di C. Manaresi e C. Santoro, Milano, 1960, n. 234); 1035 settembre 28 (ibidem, n. 241); 1037 dicembre 10 (ibidem, n. 261). Altri monetieri risedevano sempre nelle vicinanze della Moneta, presso il monastero di Dateo (attuale via Bocchetto) e la già citata zona delle Cinque vie (992 giugno, Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 868 coll. 1527-1538). I rapporti con il monastero di S. Ambrogio si originarono dai forti interessi immobiliari che questo aveva fin dalle origini sia nel suburbio che nel contado e che lo portarono a servirsi di mediatori per le transazioni ed il reperimento di denaro liquido (v. oltre ai testi citati nelle note precedenti G. Rossetti, Il monastero di S. Ambrogio nei primi due secoli di vita: i fondamenti patrimoniali e politici della sua fortuna, in Il monastero di S. Ambrogio nel Medioevo, Convegno di studi nel XII centenario: 784-1984 (Milano: 5-6 novembre 1984), Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 20-34); per quanto riguarda il clero decumano la Rossetti ha già da tempo tratteggiato le figure di questi intermediari ecclesiastici e ha sottolineato come, tra VIII e X secolo, l’ingresso nel clero decumano milanese fosse uno strumento di ascesa sociale per le famiglie di inurbamento recente (G. Rossetti, Società e istituzioni nel contado durante il medioevo. Cologno Monzese I (sec. VIII-X), Milano, 1968, pp. 108-114 ed Ea., I ceti proprietari e professionali..., cit., pp. 168-169.

(13) Oltre agli accenni contenuti nel già citato La società milanese di Cinzio Violante, vedasi dello stesso autore Per lo studio dei prestiti dissimulati in territorio milanese (secoli X-XI), in Studi in onore di A. Fanfani, Milano, A. Giuffré, 1962, I, pp. 641-735 e di G. Rossetti, Motivi economico-sociali e religiosi in atti di cessione di beni a chiese del territorio milanese nei secoli XI e XII, in Contributi dell’Istituto di Storia Medioevale, I: Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo, Milano, Vita e Pensiero, 1968, pp. 349-410; Ea., Note all’edizione del terzo volume degli atti privati milanesi e comaschi, in “Rivista di Storia della Chiesa in Italia”, XXI (1967), pp. 118-122.

(14) 936 settembre, Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 547, coll. 934-935.

(15) Per la quale v. Violante, Per lo studio dei prestiti dissimulati..., cit., pp. 674-685, e prima di lui R.S. Lopez, An aristocracy of money in the early middle ages, in “Speculum”, XXVIII (1953), pp. 36 e ss.; ora anche Salvatori, Società e spazio urbano..., cit., pp. 54-65.

(16) Gli atti privati..., cit., I, n. 128; II, nn. 163, 164, 224.

(17) Almeno tre case: le due menzionate nel 1023 (“casas duas cum areas in qua estant cum curte et puteo seu orto insimul tenente intra ac civitate Mediolanium reiacente non longe da Moneta Publica”) e quella ad esse confinante tenuta da un altro membro dei Rozonidi, Adamo (ibidem, I, n. 128).

(18) Fondata da Benedetto qui et Rozo in un periodo di poco antecedente all’anno 1036; in seguito fu intito-lata al S. Sepolcro. Tristano Calco riportò così la notizia: “anno quarto imperii Conradi Benedictus, qui et Rocio vulgo nuncupabatur, cum Ferlenda uxore, aedem proprio solo media urbe struxere in honorem divae trinitatis (T. Calco, Mediolanensis historiae patriae libri XX, Mediolani, 1627, libro VI, ad annum). Cfr. Lopez, An Aristocracy..., cit., pp. 36 e ss. In precedenza i Rozonidi avevano fondato un’altra chiesa, posta nell’immediato suburbio di Porta Vercellina, dedicata ai SS. Michele arcangelo e Pietro, nel luogo detto Sala Rozoni, che prese in seguito il nome di S. Pietro in Sala (v. Salvatori, Società e spazio urbano..., cit., pp. 54-65). Sulle chiese propriae costruite dai cives su terre allodiali vedi C. Violante, La pataria milanese e la riforma ecclesiastica. I: Le premesse (1045-1057), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 1955 (Studi Storici, 11-13), pp. 38-39 e nota 1. La chiesa di S. Sepolcro esiste tuttora e sorge proprio sull’area dell’antico Foro romano (v. Calderini, La zona..., cit.).

(19) Violante, La società milanese..., cit. pp. 135-137. Le forti differenze di prezzo tra gli immobili centrali e periferici si mantenne per tutta l’età comunale e signorile (vedi oltre).

(20) Il Compito, letteralmente “crocicchio” si trovava all’inizio dell’attuale Corso Vittorio Emanuele (Passerini, Il territorio insubre..., cit., p. 138, n. 1); per la becaria magiore si veda la nota 28.

(21) La Moneta Pubblica d’età medievale è attestata come struttura materiale dal 879 (novembre 11, Codice Diplomatico Longobardo, cit., n. 290, col. 492b) fino al 1012, anno in cui i documenti non fanno più riferimento all’edificio ma al toponimo: “intra suprascripta civitate Mediolani, non multum longe da locus ubi Moneta Publica dicitur” (Gli atti privati..., cit., I, n. 51.). Nel 1100, quando l’arcivescovo Anselmo consacrò la antica chiesa fondata da Rozo monetario, SS. Trinità, col nuovo nome di S. Sepolcro e determinò i confini della sua parrocchia, venne meno il riferimento topografico alla Moneta (Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., II, pp. 683-687), che però rimase nella titolazione della chiesa di S. Mattia e nel nome della vicina via Moneta. Per l’età comunale non si conoscono con sicurezza né le sorti né l’ubicazione della zecca, che, alla metà del secolo XV, venne situata nella strada che ancora oggi è detta via Zecca Vecchia (Milano ritrovata..., cit., pp. 395 e 445).

(22) Il termine si ritrova infatti solamente in forma collettiva quando, a partire dalla metà del secolo XII, compaiono nei documenti i consules negotiatorum (cfr. G. Rossetti, Le istituzioni comunali a Milano nel XII secolo, in Milano e il suo territorio in età comunale, Atti dell’XI congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo, Milano: 26-30 ottobre 1987, I, Spoleto, 1989, pp. 83-112, in particolare le pp. 99-101; M.F. Baroni, Il consolato dei mercanti di Milano nel periodo comunale, in “Nuova Rivista Storica”, LIX (1975), pp. 257-787).

(23) Sull’importanza non solo religiosa, ma anche politica, sociale e urbanistica della chiesa cattedrale nell’Italia medievale si veda C. Violante e C.D. Fonseca, Ubicazione e dedicazione delle cattedrali dalle origini al periodo romanico nelle città dell’Italia centro-settentrionale, in Il romanico pistoiese nei suoi rapporti con l’arte romanica dell’Occidente, Atti del I Convegno Internazionale di Studi Medioevali di Storia e d’Arte: Pistoia-Montecatini Terme 27 settembre - 3 ottobre 1964, Pistoia, Ente Provinciale per il Turismo, 1965, pp. 303-346, poi in C. Violante, Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell’Italia centro-settentrionale nel Medioevo, Palermo, Accademia di Scienze Lettere e Arti, 1986 e C.D. Fonseca, “Ecclesia matrix” e “Conventus civium”: l’ideologia della cattedrale nell’età comunale, in La pace di Costanza 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero, Bologna, Cappelli, 1984, pp. 135-150, in particolare la bibliografia alle note 1 e 32. Limitatamente alle cattedrali di Milano, oltre ai saggi segnalati alle note 32 e 33, si veda G. Soldi Rondinini, La fabbrica del Duomo come espressione dello spirito religioso e civile della società milanese (fine sec. XIV-sec. XV), in Actes du Colloque du Centre Interdisciplinaire de Recherches sur l’Italie, Strasbourg 1981, pp. 101-115, ora in Ea., Saggi di storia e storiografia visconteo-sforzesche, Bologna, Cappelli, 1984 pp. 49-63

(24) L’arcivescovo di Milano non fu mai destinatario di un diploma imperiale che gli concedesse ufficialmente poteri giurisdizionali sulla città e sul suburbium come avvenne per altre città del nord Italia (v. C. Manaresi , All’origine del potere dei vescovi sul territorio esterno della città, in “Bullettino dell’Istituto Storia per il Medioevo e Archivio Muratoriano”, LVIII (1944), pp. 221-334). Questo non significa che l’alto prelato non detenesse un tale potere, ma solo che esso era probabilmente esercitato di fatto e non di diritto (v. Bognetti, Pensiero e vita a Milano..., cit, pp. 774-803; Rossetti, Formazione e caratteri delle signorie di castello e dei poteri territoriali dei vescovi sulle città nella “Langobardia” del secolo X, in Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, a cura di G. Rossetti, Bologna. Il Mulino, 1977, p. 126 testo e nota). Per una egregia sintesi delle questioni sul potere dei vescovi milanesi vedi A.M. Ambrosioni, Gli arcivescovi nella vita di Milano, in Milano e i milanesi prima del Mille..., cit., pp. 85-118.

(25) V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai nostri giorni, I-XII, Milano, 1889-93, III, p. 217, n. 276.

(26) Prima intitolata alla SS. Trinità (si veda la nota 18).

(27) “Stabilitur quoque, et communi institutione a nobis laudatur, quatenus sit mercatum annuale omnium rerum fluens, et venale, ex quo nullus presumat curaturam querere, et in quo nullus audeat ultra unum stadium obtinere, nec quod commune est omnibus tentet alicui velut proprium vendere, nec sui iuris modo dicere; sed sicut communis est solemnitas ad omnium animarum utilitatem, ita commune sit mercatum ad omnium corporalium rerum venditionem”. V. Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., II, p. 684 e VII, p. 79; edito da G.P. Puricelli, Ambrosianae Mediolani Basilicae ac Monasterii hodie Cistercensis monumenta, Mediolani, 1645, n. 289 e da F. Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adiacentium rebusque ab iis preclare gestis, aucta et emendata cura et studi Nicolai Coleti, I-X, 2ª ed., Venetiis, S. Coleti, 1717-1732, IV: Mediolanenses episcopi, Venetiis, 1719, pp. 124-126.

(28) Così nel diploma che Ottone, re d’Italia, concede al monastero di S. Ambrogio nel 952: “areas quinque terre ipsius regni nostri infra mediolanensem civitatem in loco, ubi publicum mercatum extat, coniacentes. Uni aree, ubi stationes desuper extant, quas tenere videtur Iohannes filius quondam Ambrosii, itemque Iohannes qui et Grassus vocatur, atque Prandus filius Magnonis, coeret de duabus partibus via, a tertia parte sancti Ambrosii et Azonis frater Walzonis negotiatoris [...]. Insuper concedimus ad monasterio salam unam cum area in qua extat, similiter iuris nostri regni infra prelibatam civitatem, in pretaxato mercato sitam, cum stationibus inibi banculas ante se habentibus” (febbraio 16, Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 599, coll. 1025-1026). L’identificazione della zona del mercato con l’attuale piazza Fontana è del Porro Lambertenghi (ibidem). Si veda Violante, La società milanese..., cit., p. 80. Entro la città è inoltre attestato nel 992 un “locum ubi macellum dicitur”, posto probabilmente presso la chiesa di S. Maria Pedone, ancora esistente (Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 868, coll. 1527-1538); nel 1043 è attestata una “becaria magiore” di cui però non si conosce con esattezza l’ubicazione (Gli atti privati..., cit., II, n. 302). In età comunale e signorile le principali macellerie si trovavano presso la Prta Vercellina e presso il Compito, dietro la Cattedrale (L. Chiappa Mauri, Le merci di Lombardia. Le produzioni agricole e agroalimentari, in Il commercio in Lombardia, a cura di C. Taborelli, I, Milano, Mediocredito Lombardo, 1986, pp. 119-143, in particolare p. 129).

(29) Sulle botteghe della Piazza del Duomo si veda l’ottimo lavoro di Marina Spinelli, Uso dello spazio e vita urbana a Milano tra XII-XIII secolo: l’esempio delle botteghe di piazza del Duomo, in Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bologna, Cappelli, 1988, pp. 251-273, da cui traggo la maggior parte delle indicazioni che seguono.

(30) Soldi Rondinini, La fabbrica del Duomo..., cit., p. 53

(31) Edificata nell’836 sul probabile sito di un preesistente tempio paleocristiano, era detta yemale forse perché officiata nei mesi invernali e basilica minor per le sue dimensioni ridotte. Danneggiata nel 1075, nel 1386 era in pessime condizioni. E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, in Storia di Milano, cit., IV, pp. 660 e ss.; Bognetti, Pensiero e vita a Milano e nel milanese durante l’età carolingia, in Storia di Milano, cit., II, Milano, 1954, pp. 770 e ss.

(32) Risalente alla metà del secolo IV, occupava l’area che attualmente si trova di fronte al Duomo. Vedi U. Monneret de Villard, L’antica basilica di S. Tecla in Milano, in “Archivio Storico Lombardo”, s. V, XLIV (1917), pp. 1-3; A. De Capitani D’Arzago, La chiesa maggiore di Milano, Milano, 1959.

(33) La piazza era delimitata da numerosi altri edifici religiosi e civili: la Pescheria, la canonica dei Decumani, la basilica di S. Gabriele con l’annesso cimitero, la contrada de Mangano, la chiesa di S. Raffaele, il monastero di S. Radegonda, il battistero di S. Stefano ad fontes, la Curia arcivescovile, le piccole chiese di S. Michele subtus domum e S. Uriele, il battistero di S. Giovanni ad fontes, l’Arengo. Dal 1228, dal lato ovest, si accedeva al nuovo palazzo del Comune (v. Spinelli, Uso dello spazio..., cit., pp. 256-257).

(34) E’ facile supporre che in età comunale, in diretta relazione all’accresciuta popolazione urbana e al progressivo incrementarsi dei traffici, i luoghi della produzione e dello scambio si moltiplicassero. La logica del ragionamento si scontra però con la sorprendente scarsità delle attestazioni di forni, macellerie, spezierie e banchi al di fuori del centro cittadino fino a tutto il secolo XIII. Un tale silenzio va in parte certamente ascritto alla qualità delle fonti, di origine quasi totalmente monastica e quindi riguardanti soprattutto beni collocati nel suburbio e in contado.

(35) Spinelli, Uso dello spazio..., cit., p. 254.

(36) Nella piazza due erano i “complessi commerciali notevoli, attigui l’uno all’altro e forse a carattere permanente: il coperto di S. Tecla e la Pescheria”. Sotto il coperto di S. Tecla si smerciavano vari tipi di calzature del tempo. Nella Pescheria, dotata probabilmente di una struttura di protezione era, ovviamente, venduto il pesce; davanti al S. Tecla si svolgeva il mercato dei polli (ibidem, pp. 258, 263). Nei pressi della piazza sono attestati in età precomunale due toponimi legati ad attività artigianali: un luogo “ubi dicitur calegaria” è attestato fin dal 992 (992 giugno, Codex Diplomaticus Langobardiae, cit., n. 868, coll. 1527-1538), mentre nel 1066 compare tra i confini di un terreno edificato la terra che “tenent spadari” (Gli atti privati milanesi e comaschi del secolo XI, III (1051-1074), a cura di C. Manaresi e C. Santoro, Milano, 1965n. 467). In questa menzione il Giulini ha riconosciuto la più antica notizia della “via degli Spadari”, che in realtà è documentata con questa dicitura solo molto più tardi (Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., II, p. 442). Si tratta comunque di notizie isolate che sembrano non avere alcuna relazione con le strade “artigiane” attestate in età tardo-comunale e signorile, come la via dei Mercanti d’oro, delle Farine, dei Cappellai (vedi oltre). Sulla questione della specializzazione economico-artigianale di quartieri e contrade nel basso medioevo cfr. A.I. Pini, La ripartizione topografica degli artigiani a Bologna nel 1324: un esempio di demografia sociale, in Artigiani e salariati: il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XIV, Atti del decimo convegno di studi (Pistoia: 9-13 ottobre 1981), Bologna 1984, pp. 189-223.

(37) La Spinelli (Uso dello spazio..., cit., pp. 269-273) fa l’esempio degli Osii e dei Prellaoni.

(38) V. Baroni, Il consolato dei mercanti..., cit., in “Nuova Rivista Storica”, LIX (1975), p. 260; Spinelli, Uso dello spazio..., cit., p. 256. Per il Broletto vecchio vedi oltre.

(39) “Passus falsus, sive corda falsa intelligantur, quae non inveniuntur iuxta mensuram Petre de Pescharia”. Liber consuetudinum Mediolani anno MCCXVI collectarum, a cura di G. Porro Lambertenghi, Historiae Patriae Monumenta, Leges Municipales, XVI/1, Agustae Taurinorum, 1876, pp. 849-970, nuova ed. a cura di E. Besta e G.L. Barni, Milano, Giuffré, 1949, cap. 31.

(40) Anche se in realtà esiste una casistica abbastanza varia. Un caso per tutti quello di Pisa, dove la piazza del duomo (attuale piazza dei Miracoli) è distinta dall’arengo (piazza dei Cavalieri) e dal luogo dove si svolgeva il mercato (piazza delle Vettovaglie); cfr. G. Garzella, Pisa com’era: topografia e insediamento dall’impianto tardoantico alla città murata del secolo XII, Napoli, GISEM Liguori, 1990; F. Redi, Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli, GISEM Liguori, 1991.

(41) Il consulatus civium è attestato nel 1097 presso la cattedrale di S. Maria, mentre dal 1138 la domus o casella consularie aveva sede nel brolo piccolo dell’arcivescovo, dove oggi si trova il palazzo reale. V. Soldi Rondinini, La fabbrica del Duomo..., cit., pp. 50-51; Ea., Milano tra XIV e XVI secolo, in Florence and Milan: Comparisons and Relations, Atti del convegno tenutosi a Villa i Tatti (1982-1984), Firenze, 1989, pp. 167.

(42) B. Corio, Historia di Milano, Venezia, 1565, riedizione: Storia di Milano, Milano, 1855-1857, p. 347: “fu deliberato costruere il broletto nel mezo de la magnanima cità. Il perché fu comprato da le venerande monache dil loco nucupato il monastero Lentasio [...], parimente da quegli nominati li Farelli comprarono la torre posta in el broletto, nel quale circuito furono costructi molti edificii. Fu statuito anch’ora che ne lo advenire il pretore fusse obbligato a iurare con sacramento [...] infra dui mesi, cominciando da lo introito suo, exponere in publica concione de fare le porte e le strate insine che fussino forniti intorno a la nova corte dil Comune de la città [...], la prima de la quale dovea passare per la casa d’uno quondam Iacobo Calegario, dove abitava Hector, scontro la habitatione de Pinamonte Toscano o vero li fratelli; la seconda era designata da la contrada de quegli de la Croce, che per dricta linea venesse per la habitatione de la fameglia de Cassini e ponesse capo nel Pasquario, o vero piaza dil Sancto Sepulchro. Con grande artificio fu fabricato et inde [...] girasse più avante per le becharie magiore, entrando per la habitatione d’uno Aluisio de Aliate, o vero Iacobo de Aliate [...] e da ivi girasse per la casa de Ugone Pulvera e Petromile di Magii, pur che entrasse nel novo broletto. La terza porta fu deliberata a la nova corte[...] a la parte de levante ne la casa, o sia per quella de Henrico Bisolo, e la strada per dricta linea andando a la contrada di Verzaro, de pusterla Tonsa, de Busechagnia per la strecta de Marcelini per dricta linea andasse a la nova corte [...]. La quarta porta fu ordinata andasse dal templo di Sancta Tegla di sotto la pescaria. La quinta porta e strada [...] ordinarono andasse per l’angulo de quelli nocupati Petti, per sotto il coperto de Sancta Tegla, in modo non occupasse il templo. Una sexta porta statuirono, che cominciasse da la strata di Sancto Fidele e venesse al novo broletto [...]. Un’altra ne ordinarono venesse dal macello de porta Vercellina, drizandosi al templo de Sancto Michele, nominato al Gallo. Anchora deliberarono che si facesse una altra strada, o vero commune via, che passasse per la habitatione di Raymondo Fabro e transisse insine oltre al pozo [...] e capitasse per la piaza de sancto Cypriano [...] e ponesse capo a la torre habitata da Murigo de Bernate [...]”.

(43) Termine utilizzato la prima volta da A. Colombo (La topografia di Milano comunale, in “Archivio Storico Lombardo”, LXXXVII (1961), pp. 28-120) e poi ripreso da F. Sinatti D’Amico (Per una città. Lineamenti di legislazione urbanistica e di politica territoriale nella storia di Milano, Todi, 1979, pp. 152-153) e da G. Soldi Rondinini (Le strutture urbanistiche di Milano durante l’età di Ludovico il Moro, in Milano e l’età di Ludovico il Moro, Atti del convegno internazionale (Milano: 2 febbraio-4 marzo 1983), II, Milano, 1983, pp. 553-573 ora in Ea., Saggi di storia e storiografia..., cit., pp. 131-158, in particolare le pp. 135-136).

(44) Elenco brevemente gli interventi subiti dal Broletto tra XIII e XIV secolo: nel 1233 il podestà Oldrado da Tresseno fece edificare il piano superiore, il solarium, dove si radunava il consiglio generale del Comune; nel 1251 sorsero probabilmente la casa del Podestà e le carceri; sotto questa data il Calco aggiunge “in urbe vero forum ampliatum fuit substructae porticus et cancelli sedesque iurisconsultorum et scribarum et nummulariorum” (Calco, Mediolanensis historiae..., cit., p. 314); nel 1272 sorse la torre fatta costruire da Napoleone Torriani; nel 1316 Matteo Visconti abbellì la loggia degli Osii; nel 1336 Azzone Visconti fece costruire nel lato verso via Orefici un edificio a portici occupato più tardi dalle scuole palatine. Per tutte queste indicazioni si veda E. Verga, La camera dei mercanti di Milano nei secoli passati, Milano, 1916, pp. 181 e ss. e anche Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., IV, p. 466.

(45) Da una causa del 1268 febbraio risulta che i consoli dei mercanti avevano nel Broletto un banco proprio presso il quale esercitavano la giustizia (Baroni, Il consolato..., cit., p. 260). Inizialmente l’Università ebbe sede in una camera della loggia degli Osii; dagli statuti del 1396 sappiamo che le furono assegnati locali più vasti, dal portone dei Ratti fino alla chiesa di S. Michele al Gallo: “Camera mercatorum que est post arengariam et alia camere lobie de Oxiis ubi prope consueverunt teneri banna remaneant ad potestatem pro commune Mediolani, et loco eius camere mercatorum habeant mercatores cameram que est supra portam Broleti prope ecclesia Sancti Michaelis ad Gallum cum sala usque ad arengariam et hoc ne mercatores impediant potestatem per scalas arengere” (Verga, La camera dei mercanti..., cit., pp. 181 e ss.; Collegi professionali e corporazioni d’arti e mestieri della vecchia Milano, a cura di C. Santoro, Milano, 1955, p. 37). Nel 1433 l’Università richiedeva al duca una sede più decorosa di quella posseduta, consistente in un locale nella casa di un fabbro, verso via Orefici. Gli fu concesso di costruirne una nuova fra il portico dei Ratti e la via Mercanti, che fu occupata fino ai primi anni del XIX sec. (ibidem).

(46) Verga, La camera dei mercanti..., cit., pp. 182. Si ripete in grande la medesima struttura architettonica delle domus private mercantili e anche delle residenze dei mercanti lombardi nell’Italia del Nord descritte da Renato Bordone: sala grande al primo piano con gli uffici di rappresentanza e loggia al piano terreno per i contratti e i commerci (in Spazio urbano e organizzazione economica nell’Europa medievale cit., pp. 81-97). Sui portici milanesi vedi E. Saita, I beni comunali a Milano ed alcuni esempi della loro amministrazione fra Tre e Quattrocento, in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo, Milano, La Storia, 1993, pp. 234-237.

(47) Nel 1255 un atto di un mercante mantovano viene fatto ad cambium Mediolani, sito entro il broletto (Baroni, Il cosolato..., cit., p. 260).

(48) Nel 1409 il duca venne informato dal vicario, dai Dodici di Provvisione e dai sindaci del comune di Milano del fatto che da 10 anni molti cambiavalute tenevano banco fuori o intorno al Broletto e lasciavano vuoti quelli costruiti in Broletto per questo scopo. A questo proposito approvò la decisione di far concentrare i banchi nel recinto del Broletto ad eccezione di quelli di Paolino e Beltramolo de Osnago e di quelli antichi che si trovavano fuori o intorno al Broletto (I Registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio dei sindaci sotto la dominazione viscontea, a cura di C. Santoro, Milano, 1919-1932, 6, n. 171). I banchi dei cambiavalute erano dotati o meno di tappeto verde a seconda dell’importanza della ditta (Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., p. 138).

(49) Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., IV, 606: il podestà stabilì inoltre che vi si ponessero delle panche e delle pertiche dove ciascuno potesse porre sopra falconi, astori, sparvieri e altri uccelli per suo piacere e divertimento.

(50) 1408 febbraio 28: il duca ordinò che a Martino de Herba rivenditore di biada di legumi e di pesci salati fosse lasciata la bottega posta nel Broletto nuovo del comune di Milano (I Registri dell’Ufficio di Provvisione..., cit., 6, n. 37); 1413 aprile 29: in conseguenza del fatto che la piazza del Broletto risultava sempre ingombra di carri e di bestie, si ordinò che nessuno dovesse tenere carri, cavalli e altre bestie sotto il palazzo del Broletto o nella piazza verso la loggia degli Osii e che fosse permesso vendervi grani, pane, legumi, castagne, marroni e noci, tenendo i carri e le bestie dalla parte del campanile del Broletto (ibidem, 15, n. 145); 1421 giugno 20: in seguito alle lagnanze dei cittadini per il fetore che c’era nel Broletto si deliberò che nessuno potesse liquefare e colare sego entro determinati confini (ibidem, 16, n. 63).

(51) Verga, La camera dei mercanti..., cit., pp. 181 e ss. Alla fine del Trecento la piazza del Broletto ospitava l’abitazione del Podestà e i suoi uffici, le carceri, la loggia degli Osii, il tribunale di Provvisione, il collegio dei Giureconsulti, il tribunale del Giudice delle strade acque e ponti, quello del Giudice dei Dazi e del Giudice delle Vettovaglie, l’Università dei Mercanti.

(52) Fin dalla prima età comunale Milano risulta divisa amministrativamente in sei aree facenti capo alle principali porte della cinta difensiva. All’interno delle porte le abitazioni erano raggruppate amministrativamente per parrocchie (A. Colombo, I trentasei stendardi di Milano comunale, Milano, Almanacco della famiglia Meneghina, 1955; Id., L’amministrazione civile di Milano comunale, in “Archivio Storico Lombardo”, LXXXVII (1960), pp. 277-334; Id., La topografia di Milano comunale..., cit.; Salvatori, Società e spazio urbano..., cit., cap. III, par. 2). Nulla le fonti duecentesche dicono su eventuali concentrazioni di botteghe e di attività nei diversi borghi e nelle altre aree della città distinte dal centro. Unica testimonianza quella di Bonvesin de la Riva che però si limita ad elencare il numero dei forni, dei macellai, dei pescatori e di tutte le altre strutture commerciali e artigianali senza dire dove si trovassero (Bonvesin de la Riva, De magnalibus mediolani. Le meraviglie di Milano, testo a fronte, trad. G. Pontiggia, a cura di M. Conti, Milano, 1974). Si veda la nota 34.

(53) Per le fonti v. soprattutto I Registri dell’Ufficio di Provvisione..., cit.; e per l’inedito v. Archivio di Stato di Milano, Archivio Ducale, Officia Gubernatorum et Statutorum, Ufficio dei Panigaroli, i cui registri contengono delibere di carattere urbanistico; cfr. inoltre le altre indicazioni archivistiche fornite dalla Soldi Rondinini in Milano tra XIV e XVI secolo…, cit., pp. 183-184.

(54) Giulini, Memorie spettanti alla storia..., cit., I, 585-586.

(55) Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., p. 138.

(56) Statuta Mediolani (1393), ms. Archivio Storico Civico di Milano, cap. 24.

(57) Sono stati studiati da Luciana Frangioni (I luoghi del processo produttivo, in “Artigianato Lombardo”, I (1977), pp. 56-72).

(58) I Registri dell’Ufficio di Provvisione..., cit.

(59) Sono invece numerosi e assai validi gli studi relativi alla storia economica milanese del periodo visconteo-sforzesco, dei quali elenco solo i più importanti in aggiunta alle opere già indicate alle note precedenti: v. G. Barbieri, Origini del capitalismo lombardo. Studi e documenti sull’economia lombarda del periodo ducale, Milano, 1961; C.M. Cipolla, I precedenti economici, in Storia di Milano, cit., VIII, Milano, 1957, pp. 338-385; L. Frangioni, Sui modi di produzione e sul commercio dei fustagni milanesi alla fine del Trecento. Problemi economici e giuridici, in “Nuova Rivista Storica”, LXI (1977), pp. 493-554; Ea., Milano e le sue strade. Costi di Trasporto e le vie di commercio dei prodotti milanesi alla fine del Trecento, Bologna, Cappelli, 1983; P. Mainoni, Un mercante milanese del primo Quattrocento: Marco Serraineri, in “Nuova Rivista Storica”, LIX (1975), pp. 331-337; Ea., L’attività mercantile e le casate milanesi nel secondo Quattrocento, in Milano e l’età di Ludovico il Moro..., cit., pp. 575-584; Ea., Mercanti lombardi tra Barcellona e Valenza nel basso medioevo, Bologna, Cappelli, 1982; Ea., I mercanti milanesi in Europa, in La Lombardia delle Signorie, Milano, Electa, 1986, pp. 77-96; Ea., Note per uno studio sulle società commerciali a Milano nel secolo XV, in “Nuova Rivista Storica”, LXVI (1982), pp. 564-568; C. Santoro, Dalla “Universitas Mercatorum” alle corporazioni delle arti, in Ea., Scritti rari e inediti, Milano, 1969, pp. 231-238; G. Soldi Rondinini, Politica e teoria monetarie dell’età Viscontea, in “Nuova Rivista Storica”, LIX (1975), pp. 288-330; Ea., Le vie transalpine del commercio milanese dal secolo XIII al XV, in Felix olim Lombardia. Studi di Storia padana dedicati dagli allievi a G. Martini, Milano, 1978, pp. 343-494; T. Zerbi, Aspetti economico-tecnici del mercato di Milano nel Trecento, Milano, 1936; Id., Il mastro a partita doppia di un’azienda mercantile del ‘300, Como, 1936.

(60) Tali gli studi condotti da laureandi dell’Istituto di Storia Medievale e Moderna dell’Università degli Studi di Milano, tra cui si distingue per interesse e accuratezza di indagine la tesi di laurea di Maria Paola Zanoboni, S. Lorenzo Maggiore fuori le mura: aspetti economici e sociali (dagli atti del notaio Giacomo Bonderio: 12 ottobre 1444/31 gennaio 1446), Università degli Studi di Milano, fac. di Lettere e Filosofia, rel. G. Soldi Rondinini, a.a. 1987-88, parzialmente edita in Ea., Un problema di topografia milanese: il borgo di Lacchiarella fuori le mura di Porta Ticinese, in “Archivio Storico Lombardo”, CXVI (1990), pp. 311-334; si veda anche la tesi di D. Triulzi, La schola quatuor Mariarum Mediolani nel periodo della Repubblica Ambrosiana, Università degli Studi di Milano, fac. di Lettere e Filosofia, rel. G. Soldi Rondinini, a.a. 1977-78.

(61) Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., p. 139.

(62) Frangioni, I luoghi del processo produttivo..., cit.

(63) Per quanto sia fortemente probabile che anche nel Milanese gli Umiliati si dedicassero alla fabbricazione di panni di lana o di altra fibra, tuttavia per tutto il Duecento vi sono pochissime testimonianze di attività artigianali condotte dalle case Umiliate milanesi, v. D. Castagnetti, Vita religiosa a Milano nel secolo XIII: Umiliati e Domine religiose in Porta Vercellina, tesi di dottorato, V ciclo, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, p. 154. V. inoltre L. Zanoni, Gli Umiliati nei loro rapporti con l’eresia, l’industria della lana e i comuni nei sec. XII e XIII, Roma, 1970; C. Santoro, La matricola dei mercanti di lana sottile di Milano, Milano, 1940, pp.IV-XI; Zerbi, Aspetti economico-tecnici..., cit.,pp. 34-43; in generale per il legame tra Umiliati e produzione laniera v. i saggi di G. Barbieri e R. Manselli nel volume Produzione, commercio e consumo dei panni di lana nei secoli XII-XVIII, a cura di M. Spallanzani, Atti della Seconda settimana di studio, Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”, Firenze, Leo S. Olschki, 1976, rispettivamente alle pp. 145-149 e pp. 231-236.

(64) C. Santoro, La matricola dei mercanti di lana sottile di Milano, Milano, 1940, p. XXIII.

(65) Soldi Rondinini, Milano tra XIV e XVI secolo..., cit., p. 171; Saita, I beni comunali..., cit., p. 237.

(66) Frangioni, I luoghi del processo produttivo..., cit.

(67) Nella via degli Spadari si trovava un’officina della Casa dell’Inferno (Collegi professionali e corporazioni..., cit., p. 39). Nella contrada della Fabbriceria i fabbri potevano tenere i balconi di legno delle loro botteghe della larghezza di due terzi di braccio (I Registri dell’Ufficio di Provvisione..., cit., 14, n. 39). Le vie mastre erano quelle lungo le quali era obbligatorio trasportare alcuni determinati prodotti, soprattitto alimentari, in modo che essi giungessero recta via al relativo luogo di vendita cittadino (Chiappa Mauri, Le merci di Lombardia..., cit., p. 122). Per la contrada delle farine vedi oltre; per tutte le altre indicazioni v. Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., p. 138 ed Ea., Milano tra XIV e XVI secolo..., cit., p. 171.

(68) Chiappa Mauri, Le merci di Lombardia..., cit., passim.

(69) Giustamente la Chiappa Mauri ricorda che “ogni tipo di transazione, ogni movimento di merce, ogni prodotto che venisse portato sul mercato o introdotto in città o trasferito da un luogo all’altro del contado era colpito da una qualche forma di imposizione” (ibidem, p. 123).

(70) A. Noto, Liber Datii mercantie Communis Mediolani. Registro del secolo XV, Milano, 1950, p. 61; Chiappa Mauri, Le merci di Lombardia..., cit., p. 122.

(71) Altre beccherie erano in Porta Vercellina. La corporazione dei beccai alla fine del secolo XIV si riuniva nel Campo Santo, dietro la Cattedrale. Ibidem, pp. 122-123 e 129. Altre notizie in Saita, I beni comunali..., cit., p. 239.

(72) I Registri dell’Ufficio di Provvisione..., cit., 15, n. 149.

(73) Noto, Liber Datii..., cit., p. 53. Alla metà del XV secolo un gruppo di quattro lettere ducali ci testimoniano dell’intenzione di provvedere a una casa per i mercanti tedeschi trafficanti nello stato di Milano (ibidem, pp. 1-2).

(74) Soldi Rondinini, Le vie transalpine..., cit.

(75) Collegi professionali e corporazioni..., cit.

(76) Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., pp. 149-150, la quale nota: “Esisteva una precisa divisione della città, oltre che di tipo economico, anche per fasce sociali, derivata dalla collocazione stessa delle sedi delle magistrature, degli offici di governo e dell’abitazioni dei Signori”.

(77) Soldi Rondinini, Milano tra XIV e XVI secolo..., cit., p. 171.

(78) Ibidem.

(79) Mi riferisco in particolare alle piante di XV secolo, derivate probabilmente da un archetipo del 1420, pubblicate da L. Gambi e M.C. Gozzoli, Milano, Bari, Laterza, 1982, pp. 38-39. Esse disegnano un ambito urbano limitato rigorosamente allo spazio intramurario, caratterizzato dalla posizione dominante del castello e dall’assenza di un reticolo viario. Vedi anche Soldi Rondinini, Milano tra XIV e XVI secolo..., cit., pp. 176-180.

(80) Bernabò Visconti iniziò nel 1358 la costruzione dei castelli di Porta Romana e Nuova; a Galeazzo II si deve invece l’edificazione del castello di Porta Giovia. V. Soldi Rondinini, Le strutture urbanistiche..., cit., p. 137 e M. Pellegrini, Il castello di Milano, in Storia illustrata di Milano, cit., III, pp. 741-759.