Tetradrakmaton

Il Fedro di Platone

Bollettino telematico di filosofia politica
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Per piacere agli dei (Fedro 272e-274a)

Abstract

Sophists and rhetoricians argued that a speech does not need to be true, but only to be convincing, if we want to win our cases in courts. A speech, however, is likely to be accepted by the people because of its likeness to truth. If there were no possible truth, even rhetoric would be impossible, because there would be no common basis to start.

Socrate ha cercato di provare che la retorica può essere scientifica soltanto se si fa governare dalla filosofia per approssimarsi alla verità sia in senso oggettivo, sia in senso soggettivo. Di contro, la scuola siciliana (Corace, Tisia, Gorgia), cui si deve la codifica della retorica in quanto disciplina sofistica e forense, sosteneva che un discorso - si pensi ad esempio a una arringa giudiziaria - non ha bisogno di essere vero per essere convincente. E' sufficiente che sia verosimile, cioè racconti qualcosa in maniera credibile. (272e-273a) La verosimiglianza va commisurata, naturalmente, all'opinione della massa. (273a) Una tesi di questo genere, dice Socrate, si potrebbe attribuire a Tisia di Siracusa, maestro del sofista Gorgia di Leontini. Tuttavia:

... questa verosimiglianza viene a prodursi nelle masse per la somiglianza con il vero; e questa somiglianza - abbiamo appunto spiegato - dappertutto la sa trovare meglio chi conosce la verità. (273d)

Questa conoscenza, si ripete, si ottiene sapendo sia dividere le cose kat'eide (secondo la loro forma specifica), sia ricomprenderle in un'unica idea. (273e)

Quando Socrate aveva affrontato per la prima volta il nesso fra verità e retorica, aveva dato per scontato che il sapere fosse distribuito in modo simmetrico fra il retore e le masse. Questa sua sicurezza, a proposito di una disciplina che di solito presuppone una differenza di competenza fra il persuasore e il pubblico inconsapevolmente manipolato, richiedeva di essere spiegata.

Il verosimile è simile al vero solo se accettiamo il presupposto che sia possibile l'unità di misura di una qualche verità comune. Un mondo che fosse interamente esposto alla manipolazione retorica, nel quale le parole significassero solo quello che il retore vuole e non esistesse, perciò, nessun sapere comune, sarebbe una collezione di linguaggi privati, nel quale sarebbe impossibile la stessa retorica, come arte della comunicazione pubblica. Un importante corollario di questa tesi è che, per quanto sia distante dalla verità, il sapere delle masse va preso sul serio: se non avessimo il punto di partenza di un sapere comune, non potremmo mai avviarci nel cammino della filosofia.

In questa prospettiva, la retorica scientifica suggerita nel Fedro - adattare il discorso al tipo di anima e alle sue conoscenze - è semplicemente quello che Socrate fa di solito nei dialoghi platonici: partire da quanto il suo interlocutore sa o crede di sapere per approssimare il più possibile il suo verosimile al vero, che appartiene a tutti.

Ma questo non si acquisirà senza una grande applicazione: chi ha controllo di sé (sophron) non vi si affatica per parlare e agire davanti agli uomini, ma per riuscire a dire cose grate agli dei (kecharismena) e per agire in tutto, per quanto può, in modo da ottenere grazia (kecharismenos). (273e)

Gli dei qui menzionati non sono quelli della religiosità tradizionale, bensì i contemplatori della verità presentati nel secondo discorso di Socrate. Chi parla ed agisce per aver successo con gli uomini - i nostri «compagni di schiavitù» (273e) - rimane incatenato alla loro provvisorietà e alle loro prospettive limitate; chi invece va gratuitamente alla ricerca della verità, o della grazia di una divinità pensata come contemplatrice della verità 2 - ottiene una prospettiva più ampia e più libera, per la quale può prendere le distanze da se stesso e dalla sua storia e fare progetti per migliorarla e migliorarsi.

Link rilevanti

Maria Chiara Pievatolo. La religione dei Greci.

Un celebre caso giudiziario: Corace vs. Tisia.

Platone. Fedro 272e-274a.



[2] A differenza che nel pensiero prevalente nelle tre grandi religioni monoteistiche, per Platone la verità non è frutto della volontà divina: gli dei stessi la contemplano soltanto e non la creano. Di conseguenza, la strada umana verso la verità non è la rivelazione, ma la ricerca compiuta secondo ragione.


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